Titolo originale: Virochana-Jataka, n.143

 

In una delle sue rinascite il bodhisattva assunse le sembianze di un poderoso leone che viveva in una grotta d’oro sull’Hymalaya. Una mattina, uscì dalla sua tana, scrutò i quattro angoli del cielo, emise un potente ruggito e se ne andò a caccia di cibo.

Uccise un enorme bufalo, lo divorò e poi si fece un bagno in uno stagno. Sulla via del ritorno incontrò uno sciacallo che si prostrò ai suoi piedi:

“Ti prego, potente leone, non uccidermi! Se mi risparmi sarò il tuo servo!”   lo implorò.

 “Va bene”  rispose il leone “sarai al mio servizio, e in cambio otterrai dell’ottima carne. Ogni giorno andrai sulla vetta di quella montagna: ti guarderai attorno e sceglierai l’animale – elefante, bufalo o cavallo che sia – che vuoi io procuri per quel giorno come cibo. Poi tornerai da me e mi dirai  «Illuminati, o mio signore!» Al che io mi alzerò e ucciderò l’animale che tu hai scelto.”

E così accadde. Con l’andare del tempo lo sciacallo divenne bello grasso e tondo. Divenne però anche presuntuoso. Si disse “Anch’io ho quattro zampe, perché mai dovrei farmi nutrire da un leone? Il leone riesce a uccidere l’elefante solo perché io recito la formula «Illuminati o mio Signore!». E allora che sia il leone, una volta tanto, a dire le stesse parole a me e così sarò io a uccidere l’elefante!”

Jataka Lo sciacallo presuntuoso - il leoneAndò dal leone e gli espose il suo desiderio.

Il leone lo guardò a lungo e poi disse: “Ascolta. Solo un leone è in grado di uccidere un elefante. Forse non ti piacerà saperlo, ma non esiste sulla faccia della terra uno sciacallo in grado di uccidere un elefante! Meglio che ti accontenti di quello che sai fare, di quello che hai, e che ti regalo”.

Lo sciacallo era però convinto che il leone fosse solo invidioso e perciò insistette nel suo proposito. E così il leone, alla fine, acconsentì.

“Bene, se è quello che vuoi. Vieni qui e sdraiati al posto mio mentre io vado a cercare l’elefante che dovrai uccidere”.

Poco dopo individuò un elefante maschio veramente massiccio e in calore, tornò alla tana e disse allo sciacallo: “Illuminati, o sciacallo!”. Questi balzò in piedi, seguì le indicazioni del leone e trovò l’elefante. Attese il momento propizio e poi gli saltò sulla schiena. Ma lo mancò e finì a rotoloni davanti alle sue zampe. Il maschio, inferocito, lo calpestò, fracassando allo sciacallo prima la testa, poi il corpo.  Infine, fece cadere il suo sterco sull’animale e poi, barrendo rumorosamente, scomparve nel bosco.

Al che il bodhisattva, che aveva assistito a tutta la scena, esclamò:

“Ora illuminati, o sciacallo!

Hai il cervello ridotto in poltiglia,

il cranio fracassato e

tutte le costole fatte a pezzi;

non c’è che dire, oggi brilli veramente!”

 

Virtù associata: umiltà e corretta percezione

L’umiltà è una delle virtù più importanti nell’ etica buddhista: umiltà tuttavia non è quell’ atteggiamento falsamente ipocrita di colui che non accetta i complimenti, fingendo che non gli interessino. Piuttosto l’umiltà si lega strettamente alla capacità di dare una valutazione realistica di sé stessi, delle proprie qualità ma anche delle proprie debolezze. Questo tipo di onestà intellettuale, verso sé stessi prima ancora che verso gli altri, è condizione imprescindibile per avere una corretta percezione della realtà, senza distorsioni introdotte dall’ego, e poterne in questo modo trarre il massimo beneficio.

Un altro jataka che parla di umiltà e non presunzione è Il pavone danzante.

 

Tratto da D. e G. Bandini, Quando Buddha non era ancora il Buddha, Feltrinelli, Milano, 2008.

Sabrina