Titolo originale: Atthasadda-Jataka, n.418

 

Nel cuore della notte, il re di Benares venne svegliato da otto rumori diversi:

il grido di una gru nel parco, lo strillare di un verme sul tetto del palazzo, i richiami di un cuculo tenuto in gabbia, le urla di una gazzella e di una scimmia anch’esse tenute in cattività, i lamenti di un demone imprigionato in una delle segrete del palazzo e le grida di gioia di un bodhisattva che passeggiava nel parco.

Il re si sentì sopraffatto da grande paura, e cominciò a pensare che potesse trattarsi di un cattivo presagio.

Il mattino dopo fece venire i suoi consiglieri e chiese loro cosa ne pensassero. I consiglieri scossero la testa con gravità e affermarono in tono molto serio e preoccupato che meglio sarebbe stato fare un grande sacrificio per compiacere gli dei: se si fosse uccisa ogni specie di essere vivente, questo avrebbe forse potuto allontanare la disgrazia dal re. Il re acconsentì e ordinò che cominciassero i preparativi.

Mentre un bramino stava dunque organizzando il sacrifico, un suo allievo cercò di dissuaderlo:

“Maestro”  disse “non compiere un’azione che porta a rinascere nell’Inferno!”

Il bramino però non ascoltò quello che il suo allievo gli disse ed anzi, quando gli altri bramini appresero dell’accaduto, si arrabbiarono molto con l’allievo, tanto che questi pensò di andarsene. Ma poiché gli stava molto a cuore la vita di tutti quegli esseri innocenti, andò nel parco per cercare un asceta che forse l’avrebbe aiutato a dissuadere il re dal suo proposito.

Incontrò così il bodhisattva che in questa esistenza si era distaccato dalle cose del mondo. Gli tributò gli onori dovuti e poi gli raccontò del re e lo pregò di scongiurare ciò che stava per accadere.

“O giovane bramino”  rispose il bodhisattva “Come potrei? Il re neppure mi conosce!”

Aggiunse inoltre: “Come potrebbe ammettere il mio onore che io mi rechi da lui? Se sarà lui a venire da me e a chiedere spiegazioni riguardo a quei rumori, sarò felice di fornirgliele”.

Il giovane bramino si recò allora di corsa dal re: “O mio re, nel parco vive un asceta. Se vai da lui, egli interpreterà per te i rumori che hai udito  di notte”.

Il re si recò così dal bodhisattva, lo salutò con deferenza e chiese: “E’ vero che conosci il significato delle urla che ho sentito? Se si, per favore, spiegamelo!”

Jataka Storia degli otto rumori - airone2“Maestà”  spiegò il bodhisattva “non devi avere paura: nessuno dei rumori che hai sentito ti porterà sfortuna. Nel parco vive una gru che, avendo fame e non trovando cibo, si è messa ad urlare. Infatti un tempo, lì dove vive, c’era un bellissimo stagno, profondo e pieno di pesci. Ora si è però prosciugato e la gru patisce la fame. Se la vuoi aiutare, libera lo stagno dal fango e fallo nuovamente riempire d’acqua”.

Udito ciò, il re diede subito ordine che così fosse fatto.

“Il secondo rumore”  proseguì l’asceta “è della cornacchia che ha costruito il suo nido sull’arco del portone della stalla degli elefanti. Lì alleva in pace i suoi piccoli. Ma ogni volta che il tuo guardiano degli elefanti passa sotto l’arco, allunga il bastone con il gancio contro il nido. Per questo la cornacchia strilla: perché teme per la vita dei suoi piccoli. Se vuoi fare una cosa buona, vieta al guardiano di disturbare la cornacchia”.

Il re fece chiamare il guardiano e lo rimproverò aspramente, quindi lo destinò a un nuovo incarico e nominò un nuovo guardiano.

“Il terzo rumore che hai sentito proveniva da un tarlo che si trova nelle travi del palazzo e vive nutrendosi del tenero legno di fico. Ma di questo legno ormai non ne resta più e quello con cui è stato rimpiazzato è troppo duro per lui. Così, non avendo via di fuga, ha cominciato a lamentarsi ad alta voce”.

Il re mandò un uomo ad arrampicarsi sul tetto, perché cercasse il tarlo e lo portasse via di lì, in salvo.

Jataka Storia degli otto rumori - il cuculoL’asceta continuò: “Sovrano, nel palazzo hai un cuculo addomesticato?”  Il re, meravigliato, rispose di si.

“Quell’ uccello si è ricordato del bosco”  spiegò il bodhisattva “gli è venuta una grande nostalgia di libertà e non smette di chiedersi se mai riuscirà a lasciare la gabbia. Per questo piange e si dispera”.

Il re ordinò quindi ai suoi uomini di liberare immediatamente l’uccello.

“Possiedi anche una gazzella e una scimmia?”

Quando il re annuì, il bodhisattva lo pregò di liberare anche loro, e così il re fece.

 

“Il settimo rumore che hai sentito”  spiegò l’asceta “è il lamento di un demone imprigionato. Egli si è ricordato della gentilezza di sua moglie e ne sente la mancanza. Per favore, libera anche lui”.

Il re, ancora una volta, obbedì e lasciò andare il demone per la sua strada.

“L’ultimo rumore che hai udito”  disse infine il bodhisattva “era di un Paccheka Buddha*, che quella notte è venuto nel tuo parco, per entrare da lì nel Nirvana. L’estasi che provava gli ha causato quelle grida di gioia. Dovresti rendergli gli ultimi onori.”

jataka Storia degli otto rumori - buddha che ride

Il re si recò lì dove giaceva il corpo senza vita e con incensi e ghirlande gli tributò tutti gli onori. Poi, annullò i preparativi per il sacrificio, facendo invece organizzare una grande festa che durò per ben sette giorni. Ringraziò moltissimo e salutò il bodhisattva, lasciandolo tornare sull’Himalaia.

Prima di andarsene però, l’asceta disse:

“Vedi quante vite hai salvato e quanti che erano in difficoltà sei riuscito ad aiutare con la tua compassione?”

Da quel momento il re non fece che del bene ed ebbe, infine, accesso al cielo di Brahma.

 

NOTA

*Paccheka Buddha : detto anche “Buddha Silenzioso”, è qualcuno che pur avendo raggiunto la massima perfezione spirituale e l’illuminazione, nel corso della sua vita non ha trasmesso i suoi insegnamenti a nessun discepolo.

 

Virtù associata: compassione e non ferire

Il non-ferire – ahimsa – è la naturale conseguenza della virtù della compassione, come capacità di sentire il dolore altrui come se fosse nostro (dal latino com-passione : soffrire insieme).

Se riusciamo a realizzare quanto ciascuno di noi sia collegato e simile a tutti gli altri esseri senzienti, diventa insopportabile anche solo l’idea di fare del male. Alle stupide credenze superstiziose, che mascherano solo una paura derivante dalla non comprensione dei fenomeni, subentra un nuovo orizzonte di comprensione che può consentire di risolvere i problemi con gentilezza amorevole, migliorando non solo la nostra condizione ma anche quella altrui.

 

Tratto da D. e G. Bandini, Quando Buddha non era ancora il Buddha, Feltrinelli, Milano, 2008.

Sabrina