Titolo originale: Kacchapa-Jataka, n.178

 

C’era una volta un vasaio che, insieme alla propria famiglia, abitava vicino a un lago.

Questo lago strabordava durante la stagione delle piogge, e le sue acque defluivano nell’ampio letto di un fiume. Ma nei periodi di siccità, non essendoci alcun collegamento diretto con il fiume, il livello dell’acqua del lago scendeva a tal punto da minacciare la vita degli animali acquatici che lì dimoravano.

I pesci e le tartarughe, tuttavia, essendo dotati di un eccezionale istinto, sono in grado anticipare come sarà il tempo, e quindi capirono che si stava avvicinando un periodo di siccità eccezionale. Dunque, se ne andarono dal lago, emigrando nel fiume, per passare lì i tempi di magra. Solo una tartaruga molto cocciuta pensò: “No, io non me ne vado! Sono nata qui, sono cresciuta qui, qui hanno vissuto i miei genitori. Non posso lasciare questo lago!”

E lì restò.

Arrivò il periodo di siccità e il lago si prosciugò del tutto. Allora la tartaruga si mise a scavare un buco nel luogo dove il vasaio, che in realtà era il bodhisattva, usava prendere l’argilla, e vi ci si infilò in attesa che tornasse a piovere. Poco dopo sopraggiunse il bodhisattva in cerca di argilla che, conficcando la sua vanga con forza nel fango, inavvertitamente ruppe il guscio della tartaruga. Allora l’animale, ormai in fin di vita, disse: “Ora mi tocca dire addio alla vita, perché non ho voluto dire addio al mio lago”.

E aggiunse:

“Ovunque egli viva in pace,

lì il saggio vede la sua casa.

Meglio è vivere senza un tetto,

che trovare la morte nella propria casa.”

 

Detto questo, morì.

Il bodhisattva aveva capito le parole della tartaruga. Prese l’animale morto e tornò con esso nel suo villaggio; chiamò a raccolta i vicini e disse: “Questa tartaruga si è rifiutata di lasciare, insieme agli altri animali, il lago prima della stagione della siccità. Voleva rimanere lì dove era nata e cresciuta e non andare in un luogo che non conosceva. Per questo è morta. Voi non dovete essere come lei. D’ora in poi sforzatevi di non pensare “questo è il mio corpo, questi sono i miei sensi, questo è mio figlio e questa mia figlia. Questi sono i miei servi e questi i miei soldi. Non aggrappatevi a queste cose.”

Così ammoniva il bodhisattva gli abitanti del suo villaggio, e i suoi ammonimenti si sono diffusi e sono rimasti validi per settemila anni, e tutti coloro che ne hanno fatto tesoro sono finiti in cielo.

 

Virtù associata: non attaccamento e capacità di cambiare

Il non attaccamento è un’altra virtù assolutamente centrale per l’etica buddhista. Infatti il punto di partenza è l’assoluta impermanenza di tutte le cose: la vita è un continuo flusso di cambiamenti, molti dei quali imprevedibili, in grado di cambiare la nostra condizione radicalmente da un giorno a un altro. Seguire il flusso e adattarsi ad esso nel modo migliore, e non opporvisi cocciutamente, per i buddhisti, è somma saggezza. Così come è saggio non attaccarsi alle cose o alle situazioni: infatti esse possono cambiare e venire a mancare, creando in noi grande sofferenza. Laddove il desiderio è fonte di attaccamento, esso non può altro che creare sofferenza. Per eliminare la sofferenza non può esserci altra strada che eliminare il desiderio.

“Essendosi disfatto di tutti i desideri, è stato spezzato il ciclo;

prosciugato è il fiume della brama; non oltre

corre la ruota spezzata – la fine della sofferenza è raggiunta.”

La capacità di cambiare è quindi una manifestazione del non attaccamento: significa essere saggi, capire quando è il momento di cambiare strada. Adattarsi in modo intelligente alle situazioni che non si possono cambiare, facendosi aiutare dal flusso degli eventi piuttosto che remare cocciutamente – e spesso senza nessuna possibilità di successo – contro corrente.

Anche il nostro Maestro Maha Atma Choa Kok Sui, ripeteva spesso ai suoi studenti di “fluire intorno agli ostacoli” : questo vuol dire proprio che, prima di scagliarsi con forza contro un ostacolo per abbatterlo, può essere più saggio ed efficace trovare un modo –anche inusuale – per aggirarlo, andando a creare in questo modo anche nuove condizioni, prima inesistenti, più favorevoli al successo.

Un altro Jataka che tratta il tema del non-attaccamento, anche se con una sfumatura diversa, è Il Timone.

 

Tratto da D. e G. Bandini, Quando Buddha non era ancora il Buddha, Feltrinelli, Milano, 2008.

 

Sabrina