Il Mahayana – letteralmente composto dalle parole maha (grande) e yana (veicolo) – si sviluppò all’ interno del buddhismo primitivo e diede origine, a partire dal I sec. a.C., a una ricca produzione letteraria. Si configura come una via superiore rispetto al cammino antico – il buddhismo Theravada o Hinayana – di cui però non intende tradire l’essenza quanto piuttosto sviluppare i presupposti.

 

La dottrina Mahayana: le figure dell’ arhat e del bodhisattva

L’ insegnamento del Mahayana è più distintamente religioso, e si appella di più al cuore che all’ intelletto. Gli insegnamenti possono essere esposti in una grande varietà di forme, adattati ad ogni tipo di mente e ad ogni stadio di sviluppo spirituale.

All’ ideale individualistico dell’ arhat, che persegue una via di salvezza solo per sé, indifferente all’ umanità smarrita nell’ ignoranza, si sostituisce la motivazione altruistica del bodhisattva, che raggiunge l’ illuminazione per restare nel mondo e aiutare tutti coloro che sono ancora nella sofferenza.

Il cammino dell’illuminazione appare qui ispirato dall’ideale della mahakaruna – “grande compassione” – che tiene indissolubilmente unite la propria liberazione e quella altrui. Prolungando la pratica ben oltre il livello raggiunto dall’ arhat, il bodhisattva acquisisce poteri e qualità simili a quelle del Buddha, grazie alle quali opera a beneficio di tutti gli esseri.

C’è inoltre l’idea che esistano innumerevoli Buddha e bodhisattva nel mondo che soccorrono gli individui in quanto, fondamentalmente, in tutti gli esseri senzienti è presente la “natura del Buddha”.

Bodhisattva femminile, nella caratteristica posa dei bodhisattva, seduta con una gamba ripiegata sotto le anche e una che poggia a terra.

Bodhisattva femminile, nella caratteristica posa dei bodhisattva, seduta con una gamba ripiegata sotto le anche e una che poggia a terra.

 

Buddhismo Mahayana: moderno e laico

A questa concezione, impregnata sull’ impegno e sulla “buona vita” si lega, come immediata e logica conseguenza, il fatto che la via indicata da questa corrente si apra ugualmente sia ai monaci che ai laici.

Questa dottrina si definisce dunque per la sua forte componente “laica” ed  “attivistica” che potremmo definire senz’ altro moderna. Non c’è più l’arhat come figura statica e fuori dal tempo, chiusa nel suo Nirvana; il discepolo buddhista è invece attivo nella società, dove vive in conformità con un’etica di cui non pretende di avere l’esclusiva: l’appello ad abbracciare il voto di bodhisattva è infatti esteso anche ai laici, e non indirizzato solo ai monaci.

In realtà l’ origine di questa dottrina è certamente elitaria, come dimostrano la raffinata speculazione dogmatica e le differenti forme di meditazione che essa prevede. Ne è una conferma anche il fatto che la produzione letteraria mahayanica si fondi sulla segretezza degli insegnamenti, che devono rimanere inaccessibili al volgo.

Disapprovando l’ascetismo di ogni genere, il suo sangha è composto più di Maestri che di monaci.

 

Il corpus dei testi Mahayana

La prima stagione del movimento si esprime in un immenso corpus di letteratura anonima, soprattutto in forma di Sutra.

Tra i testi mahayanici più antichi troviamo:

  • i Monaco che leggePrajnaparamitasutra  (Sutra della Perfezione della Conoscenza)
  • il Vajracchedikap (Sutra del Diamante)
  • il Prajnaparamitahrdayasutra (Sutra del Cuore): il più breve ma più popolare di tutti
  • il Saddharmapundarikasutra (Sutra del Loto del Vero Dharma)
  • il Buddhavatamsakamahavaipulyasutra (Sutra della Ghirlanda del Buddha)

 

 

 

 

In questi testi i docenti sono tutti Bodhisattva. Il messaggio è che la Realtà assoluta è presente in ciascun essere vivente, indipendentemente dal fatto che egli ne sia o meno consapevole. I fenomeni sono solo mentali e grazie alla meditazione è possibile attingere la Realtà, dove tutti gli opposti coincidono.

In seno al Mahayana fioriranno le dottrine prima del Sunyavada (Dottrina del vuoto) e poi del Vijnanavada (Dottrina dell’essere solo mente). L’ultima fase è invece dominata dalle tecniche Tantriche, che permeno in modo profondo il Buddhismo Vajrayana (Veicolo di Diamante). In quest’ultimo indirizzo è di particolare interesse la figura semi-mitica di Padmasambhava, mago e soggiogatore di demoni, cui il nostro maestro Maha Atma Choa Kok Sui è legato in termini di discendenza dottrinale. A questa scuola si deve una dettagliata classificazione dei Mantra e delle 160 conformazioni mentali dei meditatori praticanti.

Anche l’iconografia del Buddha primordiale si standardizza in questo periodo: il Bodhisattva o il Buddha docente vengono rappresentati al centro di un alone formato da 1000 Buddha, che simboleggiano le forme da lui proiettate in tutti i mondi per insegnare il Dharma. In questa tradizione ha inoltre un posto privilegiato anche la figura di Avalokitesvara e del suo famosissimo mantra Om Mani PadmeHum.

Il Buddhismo Mahayana, sviluppatosi gradualmente all’ interno del buddhismo antico – spesso persino nei medesimi monasteri – si diffuse rapidamente in tutta l’Asia. Suoi sviluppi interessanti ed originali, oltre al Vajarayana, saranno La Terra Pura – una versione molto semplificata e che godette, proprio per questo motivo, di grande fortuna – e la via dell’ autoconoscenza del Buddhismo Chan e Zen.

All’ interno del Buddhismo Mahayana possono essere individuate alcune correnti dottrinali distintive. Tra queste si può ricordare la scuola Madhyamaka.

 

Scuola Madhyamaka

Madhyamaka – letteralmente “il cammino mediano” – è una importante corrente filosofica, fondata dal maestro indiano Nagarjuna. In alcune leggende che celebrano la vita di questo maestro, la scoperta della dottrina avviene con l’aiuto dei Naga, i serpenti che, secondo la tradizione indiana, sono custodi di segreti nascosti e custodi del mondo sotterraneo. Questa dottrina si fonda su un particolare insegnamento del Buddha, che mantenne nel corso della sua vita una posizione equidistante ed equilibrata tra l’ascetismo radicale e l’abbandono edonistico ai piaceri dell’esistenza.

Dal punto di vista dottrinale dunque, secondo questa scuola, affermare che tutte le cose sono vuote – sunya – non significa negare la loro esistenza relativa, ma solo negare che esse possiedano un’esistenza intrinseca, che esistano cioè in un modo diverso ed indipendente rispetto alle costruzioni concettuali e condizionate che le determinano. La realtà relativa e quella assoluta risultano in questo modo indissolubilmente legate, poiché l’una non esiste senza l’altra.

Questa particolare dottrina si diffuse dall’India in Cina e soprattutto in Tibet, dove godette di una certa fortuna: per la tradizione Tibetana infatti Nagarjuna rappresenta il principale maestro del buddhismo Mahayana.

 

Liberamente tratto da N. Celli, Dizionari delle religioni – Buddhismo, Mondadori Electa, 2006

E da C. Humphreys, Dizionario Buddhista, Ubaldini Editore, Roma, 1981

E da M. Piantelli – Il buddismo indiano – in “Buddhismo” a cura di Giovanni Filoramo, Laterza Editore, 2001

 

 

Sabrina