Il Chan e lo Zen – rispettivamente in Cina e in Giappone – rappresentano gli originali sviluppi del buddhismo in estremo oriente, dove esso si innestò su una cultura millenaria, dando origine a correnti filosofiche e di pensiero assolutamente peculiari, pur dentro alla grande famiglia delle scuole buddhiste.
Buddhismo Chan
Il Chan, espressione originale del Buddhismo cinese, rappresenta il ritorno all’ essenza dell’esperienza del Buddha: l’ illuminazione raggiunta attraverso lo sforzo personale.
In particolare la parola Chan è la traslitterazione dal sanscrito dhyana – meditazione. Il Chan si costituì come scuola verso la metà del VII secolo e rappresenta una miscela unica di idee e pratiche cinesi – in particolare taoiste – e mahayana.
La premessa filosofica da cui muove la scuola è che la natura di Buddha – cioè lo stato di purezza originario della mente – è presente in tutti gli esseri senzienti. Nella prospettiva Chan l’illuminazione può essere realizzata direttamente ed intuitivamente, attraverso una pratica meditativa particolare che unisce dhyana – meditazione – e prajina – saggezza – prescindendo sia dall’approccio intellettuale sia da quello rituale. L’intuizione della purezza della mente può avvenire solo al di fuori del ragionamento discorsivo, in particolare attraverso la “meditazione senza oggetto” o zuochan.
Secondo la leggenda che ricostruisce il lignaggio spirituale, la rivelazione risalirebbe allo stesso Buddha Sakyamuni, che l’avrebbe trasmessa ai primi Maestri della scuola attraverso la propria mente. La comunicazione da mente a mente tra maestro e discepolo è un altro dei pilastri di questa scuola.
Dal punto di vista iconografico, il Chan preferì alle immagini del Buddha un repertorio di espressioni simboliche quasi astratte, utilizzando una pittura a inchiostro con gamma ridottissima di toni. Questo modulo di astrazione quasi calligrafica rappresentò lo strumento ideale per esprimere la forza di un’intuizione che può manifestarsi solo a una mente libera dai concetti.
I soggetti dei dipinti sembrano sottrarsi alla comprensione razionale, interrompendo il flusso dei pensieri. Sono solo “apparizioni” , al di là di qualunque ragionamento discorsivo.
Buddhismo Zen
Lo Zen, in estrema sintesi, rappresenta l’ equivalente giapponese del buddhismo Chan, con però alcune caratteristiche peculiari.
Anch’esso nasce a partire dall’ VIII secolo, anche se, come scuola indipendente, si affermò solo molto più tardi, intorno al XIII secolo.
Lo Zen e l’uso dei Koan
Caratteristica di questa scuola è la predilezione per l’uso dei Koan – letteralmente “casi pubblici” – come strumento di insegnamento e meditazione: si trattava di quesiti espressi dal maestro in forma sintetica e paradossale – del tipo “Qual è il suono di una mano sola?” -, cui il discepolo avrebbe dovuto rispondere possibilmente con affermazioni altrettanto paradossali ma di senso compiuto, dimostrando di aver superato il semplice ragionamento discorsivo.
Questa risposta intuitiva rappresentava una prova della vera e profonda comprensione raggiunta dall’ allievo. La pratica del koan mira a sviluppare una sorta di corto-circuito nella mente del praticante che , libera da qualsiasi costruzione intellettuale, può attingere a un più alto grado di comprensione della realtà.
Dal punto di vista del senso comune, non è possibile rispondere ad affermazioni come i koan : il novizio dovrà pensare e ripensare alla domanda, fino ad elaborare una risposta che dimostrerà al maestro di aver superato la logica comune.
Questo esercizio potrà durare anche tutta la vita, oppure risolversi in brevissimo tempo: quando il discepolo dà una risposta soddisfacente, dimostrando al Maestro di aver superato la logica ordinaria, il Maestro stesso gli conferirà un certificato in base al quale potrà, egli stesso a sua volta, istruire nuovi novizi.
Ne deriva, come logica conseguenza, che la trasmissione dell’insegnamento può avvenire esclusivamente per mezzo del Maestro e non attraverso le scritture; solo il Maestro infatti è in grado di riconoscere l’esperienza dell’illuminazione nell’allievo.
Lo Zen e lo Zazen
Ulteriore pratica del Buddhismo Zen è lo zazen – la meditazione (zen) seduta (za) – come stato di costante concentrazione senza pensiero, in grado di portare all’ illuminazione: la condizione dell’illuminazione è infatti già presente e deve solo essere lasciata libera di manifestarsi spontaneamente.
Tuttavia non esiste una netta separazione tra attività mondane e attività spirituali: in ogni gesto e in ogni momento, in ogni aspetto della realtà, l’esperienza dell’illuminazione può affiorare istantaneamente e spontaneamente.
L’intera esperienza di vita dovrebbe essere svolta in questo stato di vigile concentrazione: anche il giardino zen, sempre presente nei templi giapponesi, rappresenta una composizione astratta e vuota, e la sua contemplazione dovrebbe favorire questo tipo di atteggiamento mentale.
Per ulteriori approfondimenti sullo sviluppo storico del buddhismo in Giappone si si rimanda all’articolo “Il buddhismo in Giappone“.
Liberamente tratto da N. Celli, Dizionari delle religioni – Buddhismo, Mondadori Electa, 2006
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