Le prime testimonianze attendibili sulla presenza del buddhismo in Cina risalgono al I secolo d.C. : la nuova religione entrò in Cina prima da nord-ovest, dall’ Asia Centro Occidentale lungo la Via della Seta, poi, dal II secolo, anche dal mare, anche se questo canale marittimo rimase sempre di importanza secondaria.

 

La Cina assorbì il buddhismo non da una singola regione ma da diversi centri, con la conseguente influenza di diverse scuole e dottrine, che includevano tutte le maggiori correnti del buddhismo indiano – Theravada, Mahayana e Tantra.

I pensatori buddisti cinesi rimasero sconcertati da queste diversità dottrinali e cercarono, fin da principio, di eliminare le contraddizioni, interpretandole come la multiforme espressione di una verità unica e fondamentale. Si formò di conseguenza un “buddismo cinese”, dalle caratteristiche peculiari, all’ interno del quale si affermò una concezione dell’ illuminazione come intuitiva e diretta, tendenza che condusse alla nascita delle Scuole Chan e Zen, rispettivamente in Cina e Giappone.

 

Il Buddhismo e la cultura cinese

Quando il Buddhismo arrivò in Cina per la prima volta, il Paese aveva già quindici secoli di storia, nel corso della quale si era cristallizzato un complesso ben saldo di idee e concezioni, molte delle quali in contrasto con i concetti fondamentali del buddhismo.

Rappresentazione delle virtù dell'etica confuciana: l'onore. Dipinto coreano del XIX secolo.

Rappresentazione delle virtù dell’etica confuciana: l’onore.
Dipinto coreano del XIX secolo.

Tuttavia, nella realtà quotidiana, l’ambiente culturale cinese non fu del tutto sfavorevole allo sviluppo del buddhismo: l’ideale monastico buddhista, così in antitesi con l’etica confuciana, a livello popolare, mostrava somiglianze con un altro antico e molto rispettato ideale: quello della “vita ritirata” dei saggi.

Inoltre l’idea mahayanica che i meriti karmici accumulati da una persona potessero essere trasferiti a un’altra persona, la quale grazie a ciò poteva essere liberata dalla sofferenza, venne associata facilmente al concetto confuciano di “onore” e a quello prettamente cinese di “rispetto filiale”.

Il buddhismo, in questo particolare contesto, fu associato ai riti funebri nei quali tale trasferimento di meriti poteva servire ad assicurare la rinascita del proprio genitore a livelli più alti di esistenza.

 

Un’ altra idea forte che contribuì alla fortuna del buddhismo in Cina fu quella della “protezione sovrannaturale”, l’idea cioè che il sangha – cioè la comunità monastica – potesse garantire una potente e benefica influenza sull’ ambiente che lo ospitava. Questo garantì per secoli generose donazioni e offerte ai templi da parte delle dinastie regnanti, convinte che tali atti di devozione garantissero loro una sorta di “protezione magica”.

 

Il rapporto conflittuale tra sangha e potere politico

Uno degli ostacoli più grandi riguardava il rapporto tra il sangha e lo Stato. Il clero buddhista si considerava al di fuori del mondo delle relazioni e degli obblighi sociali, ma questo contrastava fortemente con una delle principali concezioni della “teologia politica” confuciana secondo la quale l’imperatore costituiva l’unico vero vertice del potere, del prestigio e dell’autorità in ogni campo, sia secolare che religioso. In questo sistema, ogni individuo, sia laico che prete, era soggetto all’ autorità paternalistica e onnipervadente dell’ elite politica. Anche nei periodi in cui il sangha buddhista prosperò e fu generosamente aiutato dalla corte imperiale, essa esercitò sempre su di esso una stretta forma di controllo.

 

Il contrasto tra il buddhismo contemplativo e l’etica confuciana

Antico dipinto raffigurante Confucio

Antico dipinto raffigurante Confucio

Il secondo grosso problema riguardava l’etica confuciana, secondo la quale qualunque individuo membro della società deve essere impegnato in lavori utili, mentre i monaci buddhisti aspiravano a una vita esclusivamente contemplativa, fatta di meditazione e preghiera. Il sangha affermava il suo diritto ad esistere come corpo – almeno materialmente – non produttivo, esonerato da tasse e servizio militare e in grado di sostenersi solo grazie alle donazioni dei seguaci laici. I confuciani intransigenti accusavano pertanto il clero buddhista di essere parassitario.

 

La reazione dei taoisti si concentrò nel fiorire di trattati anti-clericali le cui argomentazioni erano in particolare di tre tipi: morali, utilitaristiche ed economico politiche.

L’ argomentazione morale era basata sull’ etica tradizionale della famiglia: lasciare la famigli e rinunciare al proprio cognome per unirsi all’ ordine era ritenuta una mancanza di rispetto filiale – nonché un’ offesa capitale secondo la legge tradizionale cinese.

Dal punto di vista utilitaristico il sangha veniva considerato improduttivo e parassitario. Inoltre, poiché la pigrizia genera comportamento illegale, i monaci venivano additati come inclini a lascivia e dissolutezza e pertanto i monasteri visti come luoghi poco raccomandabili in quanto in grado di attirare soggetti criminali ed antisociali.

Le argomentazioni economiche vertevano soprattutto sui privilegi fiscali e sull’ accumulazione di ricchezze, spesso ingenti, da parte dei monasteri; da un punto di vista politico invece, la pretesa del sangha di costituire un corpo autonomo al di fuori del controllo delle autorità era considerata semplicemente inaccettabile.

Wu-Wei, l'Azione del Non-Agire, è un concetto importante del Taoismo. Descrive quello stato dell'essere nel quale qualunque azione segue il fluire naturale dei cicli dell'esistenza, senza opporvisi.

Wu-Wei, l’Azione del Non-Agire, è un concetto importante del Taoismo. Descrive quello stato dell’essere nel quale qualunque azione segue il fluire naturale dei cicli dell’esistenza, senza opporvisi.

Rispetto al buddhismo laico invece, i toni erano molto più sfumati e lo scontro meno diretto; in generale l’atteggiamento del governo era piuttosto liberale: finché le persone continuavano ad assolvere i loro normali doveri sociali ed economici, erano libere di seguire la religione che preferivano, a patto che questo non sfociasse in attività “sovversive” segrete o settarie.

 

 

Buddhismo e Tao: un rapporto ambivalente

Rispetto poi alla religione taoista, l’ influenza fu sempre ambivalente: molti erano i punti di contatto con il buddhismo.

 

Il Taoismo infatti ricercava l’ autopurificazione fisica e spirituale, in grado di portare al prolungamento della vita o addirittura all’ immortalità del corpo. I metodi erano assolutamente affini alle pratiche buddhiste: la respirazione, la meditazione, una corretta dieta e specifiche tecniche sessuali.

Rappresentazione  taoista dell'anatomia energetica del corpo di uno yogi

Rappresentazione taoista dell’anatomia energetica del corpo di uno yogi

Ma proprio queste affinità fecero considerare il buddhismo ai maestri taoisti  come una religione rivale.

Ciò che accadde fu che, mentre a livello erudito le due scuole si affrontarono in modo piuttosto duro, a livello popolare le discipline finirono con il mescolarsi e fondersi tra loro. Alla fine il buddhismo divenne una delle principali religioni cinesi, cose che non sarebbe potuta accadere se l’ambiente culturale cinese fosse stato ostile sotto ogni aspetto.

 

 Il canone cinese

Nel 972 d.C. il primo imperatore della dinastia Song fece stampare tutti i testi buddhisti approvati ufficialmente: si tratta di un corpus aperto e in costante crescita, costituito da traduzioni, commentari, opere polemiche, biografie, resoconti di viaggi, bibliografie e persino dizionari dei termini buddhisti.

La realizzazione delle opere in cinese fu affidata a una squadra di traduttori: il maestro straniero recitava il testo e ne faceva una sommaria traduzione con l’aiuto di un interprete bilingue, in un secondo tempo gli scrittori cinesi “ripulivano” e “raffinavano” questa prima versione. Naturalmente questo tipo di lavoro di squadra conduceva molto facilmente a ogni genere di malinteso. In Cina i traduttori dovettero combattere con un linguaggio a loro completamente sconosciuto, che utilizzava categorie grammaticali e semantiche molto diverse: la traduzione richiedeva pertanto un delicato processo di ripensamento e ricostruzione.

I Ching o "Libro dei Mutamenti" si narra sia una delle opere cinesi più antiche. Rappresenta un metodo di divinazione incastonato all'interno del sistema filosofico confuciano ed ebbe una fondamentale influenza anche sul taoismo. Il nostro Maestro Maha Atma Choa Kok sui ne portava sempre con sé una copia, in tutti i suoi viaggi.

I Ching o “Libro dei Mutamenti” si narra sia una delle opere cinesi più antiche. Rappresenta un metodo di divinazione incastonato all’interno del sistema filosofico confuciano ed ebbe una fondamentale influenza anche sul taoismo. Il nostro Maestro Maha Atma Choa Kok sui ne portava sempre con sé una copia, in tutti i suoi viaggi.

Nello stesso tempo la traduzione in cinese era destinata ad avere un’ influenza e una diffusione senza pari: infatti venne utilizzato un cinese letterario standard semplificato, che tutte le persone alfabetizzate, ancorché non di grande cultura, erano in grado di capire. I testi poterono circolare per tutto il territorio cinese, e anche oltre, in Corea, Giappone e Vietnam. Furono proprio le traduzioni cinesi, alla fine, a diventare il canone di riferimento per il buddhismo in tutta l’Asia Orientale.

 

Da Erik Zürcher Piantelli “Il buddismo in Cina” in “Buddhismo” a cura di G. Filoramo, Laterza, 2001

Sabrina